Lo svolgimento degli eventi formativi organizzati da Avvocati Uniti è condotto sulla base dei criteri indicati all’art.12 del regolamento di riferimento del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma.
Difatti:
a) i temi trattati sono pienamente coerenti con le finalità del regolamento ed attengono alla professione forense, sotto i profili giuridici e tecnici;
b) la durata è idonea a trattare gli argomenti;
c) i supporti impiegati (proiezione di diapositive, la distribuzione anticipata di materiale di studio, utilizzo di internet, accesso a banche dati) costituisce supporto altamente formativo;
d) idonea è metodologia didattica adottata (ad es. lezione frontale con question time e simulazione di accesso a banche dati), con domande e raccolta preliminare dei quesiti;
e) le esperienze e le competenze specifiche dei relatori in relazione alla natura dell’evento è documentata dalla qualifica dei relatori;
f) la elaborazione e distribuzione di un questionario di valutazione finale dell’evento da parte dei partecipanti e l’adozione di metodi di controllo della effettiva partecipazione costituiscono fattori di pregevole organizzazione dell’evento.
Del resto, come noto, il comma 3 dell’art. 3 della legge 31.12.2012 n. 247, che riportiamo per comodità espositiva, prevede: “L’avvocato esercita la professione uniformandosi ai principi contenuti nel codice deontologico emanato dal CNF ai sensi degli articoli 35, comma 1, lettera d), e 65, comma 5. Il codice deontologico stabilisce le norme di comportamento che l’avvocato è tenuto ad osservare in via generale e, specificamente, nei suoi rapporti con il cliente, con la controparte, con altri avvocati e con altri professionisti. Il codice deontologico espressamente individua fra le norme in esso contenute quelle che, rispondendo alla tutela di un pubblico interesse al corretto esercizio della professione, hanno rilevanza disciplinare. Tali norme, per quanto possibile, devono essere caratterizzate dall’osservanza del principio della tipizzazione della condotta e devono contenere l’espressa indicazione della sanzione applicabile.”. La previsione legislativa, così come è formulata, indurrebbe a ritenere che all’interno del codice deontologico possano esistere anche norme che non rispondono alla tutela di un pubblico interesse al corretto esercizio della professione, con la conseguenza della loro irrilevanza disciplinare; in altri termini, si avrebbe una parte del codice che, per contenere norme prive di conseguenze disciplinari, degraderebbe a dimensione di mera e semplice moral suasion, anche se a questa sfera, pur in mancanza di una sanzione disciplinare diretta, potrebbero collegarsi altre valenze, essendo ormai accertato che la norma deontologica può riempire di contenuto le clausole generali presenti nella legge n. 247/2012 e nel codice civile (per profili quali quello della diligenza, della buona fede, dell’illecito) e che la sua violazione è idonea a fondare un giudizio di risarcimento del danno. Tale lettura non ha superato però la prova di resistenza in quanto il Consiglio è pervenuto alla conclusione che il “nuovo” codice deontologico deve contenere norme 2 aventi tutte rilevanza disciplinare, atteso che le previsioni deontologiche tutelano, in ogni caso, l’affidamento della collettività ad un esercizio corretto della professione che esalti lo specifico ruolo dell’avvocato come attuatore del diritto costituzionale di difesa e garante della effettività dei diritti, salvaguardandosi, al contempo, quella funzione sociale della difesa richiamata anche nelle disposizioni di apertura della legge n. 247/2012. Tutte le norme che, in un modo o nell’altro, regolamentano la deontologia della funzione difensiva possono quindi ritenersi non espressioni di istanze corporative bensì veicolo del pubblico interesse al corretto esercizio della professione se è vero che la difesa ha funzione sociale ed è mezzo di attuazione di diritti a rilevanza costituzionale Rafforza tale opzione interpretativa anche e soprattutto il combinato disposto delle previsioni di cui agli artt. 3, 17 e 51 della legge di riforma dell’ordinamento professionale. Ai sensi dell’art. 51 della legge n.247/2012 il codice deontologico deve prevedere doveri e regole di condotta e le infrazioni a tali doveri e a tali regole di condotta costituiscono certamente illecito disciplinare dal momento che “sono sottoposte al giudizio dei consigli distrettuali di disciplina”. Ai sensi poi dell’art. 17 della stessa legge, il codice deontologico deve prevedere “canoni” che impongono una “condotta” “irreprensibile”, requisito necessario per l’iscrizione all’albo e per mantenere detta iscrizione. Ai sensi dell’art. 3 infine, come visto, il codice deontologico deve prevedere “principi” ai quali l’avvocato deve uniformarsi esercitando la professione e “norme di comportamento” che è tenuto ad osservare in via generale (oltre a quelle che è tenuto ad osservare specificamente nei rapporti con certi soggetti). La violazione di tutti i doveri (art. 51 L. n.247/2012), di tutte le regole di condotta (art. 51), di tutti i canoni (art. 17 L. n.247/2012), di tutti i principi (art. 3 L.n.247/2012) e di tutte le norme di comportamento previste dal codice deontologico forense costituisce quindi illecito disciplinare. 3 Il codice deve poi espressamente individuare fra le norme in esso contenute quelle che devono essere caratterizzate, per quanto possibile, dall’osservanza del principio della tipizzazione della condotta e che devono contenere l’espressa indicazione della sanzione applicabile.
Tali norme sono quelle che rispondono alla tutela di un pubblico interesse al corretto esercizio della professione.
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